RIFLESSIONI DI UN PARROCO PER IL 75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

RIFLESSIONI DI UN PARROCO PER IL 75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

Il 25 aprile, nel nostro paese, è collegato con la liberazione. È una festa civile. In quanto tale ho sempre ritenuto per me un dovere essere presente alla manifestazione organizzata dal Comune. Ritengo che il cristiano non possa ritenersi estraneo alla vita civile, deve anzi assumersi responsabilità anche civiche e debba farlo come servizio: è una dimensione imprescindibile della Carità.

La festa della liberazione assume anche dimensioni politiche, sia nel senso ampio e bello di interessamento al bene comune, sia nel senso “partitico” e quindi anche di parte, con i conseguenti giochi di potere. Ecco perché soprattutto negli ultimi anni la festa è stata oggetto di polemiche.

Sono consapevole che non dobbiamo confondere o sovrapporre il periodo difficile che stiamo vivendo a causa dell’epidemia con quello della Guerra che è terminata esattamente 75 anni fa. Tanto meno dobbiamo confonderlo con il periodo fascista che limitava molto la nostra libertà, in cambio di sicurezza (ma è stata una sicurezza che ci ha portato in guerra!). In questi giorni c’è stato chi ha accusato l’attuale governo di voler diventare una dittatura, una dittatura che ha persino limitato la libertà religiosa, impedendo la celebrazione delle Messe. A me sembra un giudizio esagerato. Non voglio entrare in merito di discussioni politiche.

È comunque vero che la libertà in questi ultimi mesi ha avuto forti limitazioni. Credo che gli stessi nostri governanti ne siano consapevoli. Questa festa della liberazione ci può e ci deve aiutare a riscoprire una libertà che non è affatto scontata e a renderla più forte, più autentica e più vera.

Vivere tutti questi mesi (che non sono ancora finiti!) segregati in casa, l’essere costretti a giustificare i nostri spostamenti, impossibilitati persino a stringerci le mani, sono stimoli per capire e riscoprire che cosa significhi essere liberi, e che cosa comporti una vera libertà.

Sono convinto che l’essere liberi non significhi poter fare tutto e il contrario di tutto: non è il non avere limiti. Non è vero che la nostra libertà ha il limite della libertà altrui. Al contrario: noi siamo liberi solo quando siamo con gli altri, quando entriamo in relazione con altri che ci interpellano, ci chiedono anche solo implicitamente, di considerarli, di corrispondere, di costruire relazioni e, addirittura, legami. Sono libero perché posso rifiutarmi, posso dire di no, ma posso anche dire di sì, e il sì, a quel punto, è più vero, più forte, più …libero!

La nostra libertà non è assenza di limitazioni, ma capacità di trasformare tutti i possibili condizionamenti, in condizioni di libertà. Come durante la dittatura fascista è maturata una coscienza di libertà democratica (grazie ad alcuni pensatori che ci hanno guidato), così in questi mesi di limitazioni e forti restrizioni può e deve maturare una libertà più intensa, più capace di desiderare un incontro più vero e più responsabile con ogni altro fratello o sorella. Certo, può anche scaturire un’umanità più povera, più imbruttita, ripiegata su di sé, più egoista e meschina. È il rischio della libertà. Ma possiamo anche diventare più veri, più “umani” e addirittura più “divini”, più capaci di assumerci le nostre responsabilità personali, familiari e civili, più capaci di amare!

Già san Tommaso D’Aquino diceva che sono fondamentalmente due le facoltà che ci rendono liberi: l’intelligenza e la volontà. Noi siamo tanto più liberi quanto più educhiamo la nostra intelligenza, informandoci, conoscendo, studiando, confrontando, valutando e poi ricominciando da capo senza arroccarci sulle conoscenze acquisite.

Ma diventiamo anche più liberi educando la nostra volontà, imparando a fare tutto ciò che ci è possibile, nonostante gli infiniti condizionamenti dovuti a restrizioni fisiche o psicologiche. Gli allenamenti, le rinunce, le mortificazioni, rafforzano la nostra volontà. Siamo anche più liberi se camminiamo insieme, sostenendoci insieme nelle fatiche, esortandoci ad affrontare insieme le difficoltà.

Molto spesso ciò che a prima vista potrebbe limitarci, può alla lunga renderci più forti.

Vivere la festa della liberazione oggi, durante questa epidemia, durante questo tempo di restrizioni può e deve diventare occasione per esse tutti più liberi, più profondamente e interiormente capaci di desiderare il meglio e di volerlo raggiungere a poco a poco.

Per un credente ancora di più scopriamo che la nostra fede non può e non deve essere un fatto scontato, dovuto ad un’educazione che ci ha condizionato, ma deve diventare l’accoglienza libera di un dono, di una proposta, quella di vivere secondo lo stile di Gesù. È la possibilità di vivere con Lui, riconoscendolo ancora vivo, proprio attraverso tante esperienze di sofferenza, di dolore e di morte, come quelle che stiamo vivendo in questi giorni.

don Maurizio