OMELIA PER LA FESTA DEI SANTI FILIPPO E GIACOMO 2020

OMELIA PER LA FESTA DEI SANTI FILIPPO E GIACOMO 2020

Per leggere l’omelia conviene prima leggere la Parola di Dio proposta per la Festa dei santi Apostoli.

LETTURA
At 1, 12-14

Lettura degli Atti degli Apostoli.
Dopo che Gesù fu assunto in Cielo, gli apostoli ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.

Parola di Dio.

SALMO
Sal 19 (18), 2-5

Risuona in tutto il mondo
la parola di salvezza.

I cieli narrano la gloria di Dio,
l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il racconto
e la notte alla notte ne trasmette notizia. 

Risuona in tutto il mondo
la parola di salvezza.

Senza linguaggio, senza parole,
senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
e ai confini del mondo il loro messaggio. 

Risuona in tutto il mondo
la parola di salvezza.

EPISTOLA
1 Cor 4, 9-15

Prima lettera di san Paolo ai Corinzi.
Fratelli, ritengo che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.

Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo.
Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO

VANGELO
Gv 14, 1-14

Lettura del Vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».
Parola del Signore.

OMELIA

Guardiamoci in faccia!

Lo so che le mascherine sono di ostacolo, però lasciano intravedere gli occhi, smarriti o sorridenti che siano.

Guardatevi in faccia anche io e te, io e ciascuno di voi.

Guardatevi in faccia anche tra voi: probabilmente in famiglia lo avete fatto più volte in questi due mesi. Non so se vi siete chiariti, se avete riscoperto un affetto o se avete fatto emergere il malessere che c’è nel cuore. Ma guardatevi ancora in faccia e dite quanto vivete dentro. Esprimete i vostri sentimenti: le fatiche, le paure, i dolori. Non nascondete le speranze, i desideri, i progetti…

Anche gli apostoli si trovavano nel cenacolo a dirsi tutto quanto vivevano nel loro cuore. Ce lo ha appena raccontato il libro degli Atti degli Apostoli. Si ritrovavano a ricordare quando erano con Gesù. Un po’ delusi per quanto era accaduto, per il vuoto che Gesù, salito al cielo, aveva lasciato loro. In attesa di uscire da quel cenacolo con la forza dello Spirito santo.

Forse anche loro fremevano per uscire e riprendere a vivere. Desideravano riprendere non la vita di prima, ma una vita nuova, segnata dall’incontro con Gesù. Non lo desideriamo anche noi?

Guardiamoci in faccia: non siamo un po’ così anche noi, anche noi come gli apostoli? Non desideriamo tornare a vivere, a fare, a incontrare, a realizzare? Non però come prima, meglio di prima, in un mondo migliore di prima…

Dunque, guardiamoci in faccia!

Anche Gesù aveva invitato i suoi apostoli a guardarlo e a guardarsi in faccia. Lo aveva fatto proprio in quel luogo, nel Cenacolo, prima di morire, durante l’ultima cena. C’erano anche Filippo e Giacomo. Gesù per primo li ha guardati in faccia, ha aperto loro il suo cuore.

A un certo punto Filippo ha detto “Mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8). Non capisco bene il senso di questa richiesta. Mi sembra che abbia voluto dire: “Mostraci quel Padre di cui parli tanto, quel Padre che è Dio. Voglio vederlo in faccia …per dirgliene quattro!”. Forse Filippo era deluso, come tanti di noi. Anche a noi viene voglia di dire a Dio quello che pensiamo, di rivendicare le tante ingiustizie che subiamo. Ma non si può vedere Dio faccia a faccia e restare vivi, lo aveva capito già Mosè (cfr Es 33,20). Noi siamo niente davanti a Lui. Gesù risponde a Filippo e dice: “Chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,9). Perciò guarda me! Parla con me. Guarda però anche la mia croce, che tra poco abbraccerò!”

Guardiamoci dunque in faccia e diciamoci subito alcune cose. Con l’intento di continuare a guardarci in faccia e dirci tante cose…

Mi sembra che Gesù ce ne dica subito alcune che voglio esplicitare.

Non è ancora tempo di far festa. Non è il tempo della festa patronale. Le salamelle e le prelibatezze di Ermes saranno per un’altra volta. I fuochi d’artificio saranno in un altro momento.

La festa che viviamo è solo nel nostro cuore, è un anticipo di fiducia che ci permetta di fare i passi giusti, di fare passi spinti dalla Fede, dalla Speranza e dalla Carità. È il tempo di affrontare le responsabilità di uomini e donne credenti, subito, oggi, qui.

Oggi più che mai. La festa che viviamo è piuttosto qui, in questa Eucaristia o nelle nostre case. È una festa che serve per ripartire. Guardandoci in faccia e prendendo il serio proposito di affrontare le fatiche e le responsabilità che sono richieste a ciascuno di noi.

Siamo minoranza. Paolo diceva, scrivendo ai cristiani di Corinto, di sentirsi disprezzato da tutti (Cfr 1Cor 4,9-13). La potenzialità che Cristo offre a noi e al mondo non è riconosciuta e, tanto meno, accettata. Lo stile di Gesù è l’unico che può salvare questo mondo, ma questo stile non è apprezzato, è guardato con sufficienza, come una cosa inutile di cui non sappiamo che farcene. Al massimo ci concedono di occuparci degli ultimi, degli scarti, di quelli che il mondo non riesce a raggiungere. Ci chiedono di parlare della morte perché loro non sanno che dire…

Noi siamo contenti di occuparci degli ultimi, perché anche noi siamo tra gli ultimi e sappiamo che Gesù ha scelto proprio gli ultimi, come Filippo e Giacomo, per farne i suoi apostoli.

Siamo minoranza, ma non siamo inutili: sappiamo che proprio da questa nostra situazione di inferiorità Dio salva il mondo.

Generiamo. Potrei anche dire “seminiamo”, ma generare mi fa sentire tutto l’orgoglio con cui Paolo dice ai cristiani di Corinto “Sono io che vi ho generato in Cristo!” (1Cor 4,15). Generare significa dare vita ad altri. Ogni padre e ogni madre può capirlo, soprattutto nella misura in cui sono pronti a rinunciare a se stessi per far vivere i loro figli. Generare è rinunciare a salvare se stessi, affinché chi viene dopo possa vivere, crescere, raggiungere quella pienezza a noi impossibile. Generare è un atto di speranza. Oggi possiamo e dobbiamo generare, anche se siamo ancora chiusi nei cenacoli delle nostre case. Possiamo e dobbiamo seminare, in questi primi passi che faremo per riavviare tutte le nostre attività. E dovremo seminare lo stile di Gesù, fatto di misericordia, di attenzione agli ultimi, di condivisione di dolori e gioie piccole. 

Come Filippo, che ha guidato tanti da Gesù, prima Natanaele, poi un ragazzo con cinque pani e due pesci, e alcuni Greci che lo cercavano. Anche noi possiamo permettere a tanti di incontrare Gesù, di guardarlo in faccia.

Ora però guardiamo anche noi in faccia Gesù, sia pure attraverso uno schermo del PC o un telefonino. Presto potremo ancora guardarlo in faccia nell’incontro reale dell’Eucaristia.

don Maurizio