LA GIUSTA PROSPETTIVA

LA GIUSTA PROSPETTIVA

1 novembre 2016

OMELIA AL CIMITERO
nella festa di Tutti i santi

Certo da qui la prospettiva cambia.
Da queste tombe lo sguardo verso la vita è diverso.
Ci rendiamo conto che tante cose per cui ci affanniamo, tante per cui ci arrabbiamo, cambiano.
Forse è per questo che tanti non vengono volentieri al cimitero.
Pensare alla morte, pensare che la morte ci prenderà tutti, prima o poi, ci costringe a dare un valore diverso a tante cose che facciamo nella nostra vita.
A che serve accumulare un po’ di ricchezza?
A che serve lottare per affermare i propri diritti?
A che serve tanto affanno per essere sani?
Se la morte è la fine di tutto, c’è qualcosa che ha valore?
Una volta si pensava che valesse la pena mettere al mondo tanti figli, almeno c’erano più possibilità che ti avrebbero ricordato dopo la tua morte, e quel ricordo è una specie di sopravvivenza.
Qualcuno passando tra queste tombe penserà che convenga fare del bene, almeno ci sarà chi ti ricorda volentieri e viene stimolato a fare altrettanto. Ma qualcun altro potrebbe dire che in fondo è tutto inutile, perché la morte livella tutto, e riduce allo stesso rango poveri e ricchi, buoni e cattivi, intelligenti e ignoranti…
Da qui la prospettiva cambia! Ma da qui non è ancora la prospettiva giusta.
Non che la prospettiva solita sia migliore, non che vedere le cose come siamo abituati a vederle ci permetta di cogliere meglio la realtà. Trovarci qui al cimitero ci permette certo di cambiare prospettiva, di capire, se non altro che le cose non stanno sempre necessariamente come noi le vediamo, ma non è ancora questa la prospettiva giusta.
Un noto teologo, Romano Guardini, diceva che la spiritualità consiste nel saperci innalzare sopra la vita, saper prendere la distanza per vedere meglio la realtà dall’alto. Dall’alto, non dal basso, non dalla prospettiva della morte.
La prospettiva giusta é quella dei santi, la prospettiva giusta é quella di Dio.
Proviamo a guardare da questa prospettiva alcuni aspetti della nostra vita.
Facciamo tre esempi.

1. Guardiamo nella giusta prospettiva, quella dei santi o di Dio, le sofferenze della nostra vita, le variegate sofferenze che dobbiamo affrontare.
Per noi le sofferenze sono un bel problema. Non ci vorrebbero, ma ci sono, capitano addosso. Tante volte ce le andiamo a cercare, magari siamo proprio noi a infliggerle ad altri.
Dalla prospettiva del cimitero le cose non cambiano molto. Solo vengono affrontate con più rassegnazione. Certo possiamo anche ribellarci o disperare, ma non possiamo cambiare molto.
Invece, dalla prospettiva dei santi (la stessa che troviamo nella Parola di Dio ascoltata oggi) le cose cambiano, eccome. Le sofferenze non vengono sminuite, mantengono la loro drammaticità, ma aprono a strade nuove e, altrimenti, impensabili. Restano qualcosa da non desiderare, da non cercare, se possibile da evitare e da far evitare, ma non saranno mai più l’ultima parola. Anche la morte, la contraddizione estrema della vita e dell’amore, non è più – secondo la prospettiva dei santi – qualcosa di definitivo, non è più l’ultima parola. Da quando Gesù è morto in croce, noi possiamo chiamare “croce” ogni morte e ogni sofferenza, possiamo farle diventare occasione d’amore.

2. Guardiamo ancora nella giusta prospettiva, quella dei santi o di Dio, le divisioni, le infinite divisioni che si creano tra noi, guardiamo le contrapposizioni, che segnano la nostra vita. Quante liti! Quante ripicche segnano noi e la nostra società! Ci affanniamo per affermare noi stessi, per farci rispettare, per tirare a casa qualche profitto in più. E a che scopo poi?
Da qui, dal cimitero, le divisioni appaiono stupide. Vengono ridotte a qualcosa di insignificante e ci accorgiamo quante piccinerie guidano troppo spesso la nostra vita.
Ma dalla prospettiva dei santi, le divisioni sono deleterie. Diventa perciò un imperativo volerle sanare, voler ricucire, voler ritrovare quell’unità di fondo che ci mette tutti in cammino sulla stessa strada, tutti alla ricerca di un po’ di felicità, tutti segnati dalla sofferenza, tutti bisognosi di amore. Davvero, nella prospettiva dei santi sono beati i miti, e la mitezza è l’unica vera arma per conquistare qualcosa, qualcosa da condividere con tutti. Davvero sono beati i costruttori di pace: solo costruendo pace potremo camminare insieme verso ciò che vale davvero. Non vale la pena cercare di annientare l’avversario, non vale la pena neppure arrabbiarci o arroccarci sui nostri pensieri. Conviene costruire la pace, magari con tanta povertà di spirito, come solo i santi sanno fare.

3. Guardiamo, in fine, nella giusta prospettiva, quella dei santi o di Dio, anche il peccato. Guardiamo i nostri peccati, quelli che bloccano l’amore, che lo vogliono ignorare, che ci ripiegano su noi stessi. Riconosciamo i peccati nei quali ci crogioliamo, per chissà quale forma di stupido orgoglio.
Nella nostra piccola prospettiva umana tendiamo a sminuire il nostro peccato, magari per ingigantire il peccato degli altri. Siamo portati a scusarci, a trovare mille attenuanti… oppure addirittura a negarlo come peccato, a dire che, tanto, tutti fanno così o farebbero così se fossero al nostro posto.
Nella prospettiva del cimitero il peccato ci fa vergognare, pensandoci morti avremmo preferito essere ricordati senza quei peccati, con le nostre virtù. Insomma il peccato ci dà fastidio.
Ma nella prospettiva dei santi il peccato diventa orribile! Il peccato spegne continuamente quell’amore che Dio costantemente semina in noi. Ci svuota di significato, si abbruttisce fino a farci morire definitivamente e, senza l’intervento divino, ci distrugge, ci condanna alla morte eterna. Dobbiamo imparare a vedere così il peccato, come realmente è. Allora potremo aprirci più consapevolmente alla grazia, all’Amore divino.

Questa prospettiva, la prospettiva dei santi, la prospettiva di Dio, è l’unica capace di dar valore alla nostra vita.

don Maurizio