Quaresima 2020: NOI CRISTIANI OGGI – 6

In questa domenica della Palme, domenica che apre la settimana santa, o settimana “Autentica” – come è chiamata nel nostro Rito Ambrosiano – non sottolineiamo tanto l’ingresso a Gerusalemme, ma l’ingresso nella settimana di Passione.

Il Vangelo della Messa del giorno ci racconta l’unzione di Betania.

Durante una cena in casa di Marta, Maria e Lazzaro (che era stato risuscitato dai morti) avviene una scena bellissima, Maria unge con un buon profumo i piedi di Gesù. È un gesto d’affetto, che fa bene, fa star bene.

Anche Gesù è stato uno che ha fatto del bene. Non si capisce perché lo vogliano uccidere.

Chiediamo ancora al Vangelo una caratteristica del cristiano oggi. E troviamo proprio nel gesto di Maria una risposta.

Il cristiano oggi è uno che vive e sa voler bene.

Vive bene, non nel senso che sta bene, che cerca il suo benessere o un equilibrio di vita che lo fa star bene. Certo la fede cristiana ha nella gioia una sua espressione e un sintomo di autenticità. Ma il cristiano sa condividere sofferenze e dolori, è lì dove qualcuno sta male. In questo senso essere cristiani non fa star bene, anzi…

Il cristiano vive il bene nel senso che esalta il bene, lo fa emergere, lo valorizza ovunque si trova, anche in chi gli è contrario o antipatico. Non si permette di allungare la schiera di chi polemizza sempre, si lamenta sempre e sottolinea ogni minima cosa che non va bene. Non si cura di questo, ma si sofferma sul bene, sul positivo e vuole farlo crescere. Se proprio deve denunciare errori o cattiverie o malefatte, non lo fa mai per danneggiare, ma solo per rilanciare più in fretta il bene.

Il cristiano stesso si impegna per realizzare il bene quando manca, vuole far star bene chi c’è intorno a lui e si sforza di far emergere sempre il massimo del bene.

Ci accorgiamo subito quanto preziosa sia una presenza di chi fa emergere il bene.

Ecco perché oggi è importante il Vangelo, ecco perché è importante la Chiesa, ecco perché è importante per noi essere cristiani che si sforzano di esserlo sempre di più. Ecco perché è importante Gesù, che ci stimola al bene e fa sempre – anche oggi, tra noi – il bene

don Maurizio

LA PASQUA DI SARA

(Sara, 12 anni, figlia di Giairo, capo della Sinagoga di Cafarnao,
cfr. Mc. 5,21-43)

“…Gesù!”

Il tuo nome è l’ultima parola che ho afferrato prima di morire. “Vado a chiamare Gesù”, così ripeteva mio papà, lasciandomi per venire a cercarti.

“È arrivato tardi”, mormoravano a bocca stretta, i miei vicini di casa; ero già morta, infatti, quando sei arrivato. Avevo dodici anni. “La bambina dorme, ora la sveglio”, ti sentirono dire, chiusi nel loro silenzio, ti disprezzarono.

Tenendomi la mano, tu hai detto: “Talità kum!”. “Fanciulla, io te lo ordino, alzati!” Non so dove la tua voce mi ha raggiunto; non so come hai fatto a trovarmi. Come un gigante tu hai attraversato, vittorioso, il buio della mia morte. Ho dischiuso gli occhi e ho visto il tuo volto: forte e sorridente.

Ma una ruga ti si formò in mezzo alla fronte, all’improvviso, come una ferita! Tu hai detto: “Datele da mangiare”; contenti ti hanno obbedito; ma io non avrei mai distolto i miei occhi dai tuoi.

Così ho ricominciato a vivere: grazie a te. “È grazie a Gesù – spiegavo a tutti – se sono di nuovo viva”. Mio papà e io non ti abbiamo più lasciato: due anni incredibili vissuti vicino a te. Quanta strada abbiamo fatto insieme a te; quante parole, quanti silenzi, quanti malati guariti, quanti lebbrosi sanati, quanti peccatori perdonati, quanti afflitti consolati, quanti sorrisi restituiti: e ogni volta sul tuo bel volto, una ruga, una ferita in più.

Mi sono sentita perduta il giorno che ti hanno arrestato. Perché farti del male, a te che hai fatto sempre del bene? Perché far del male al mio Gesù? Perché ti hanno flagellato? Perché coprire di sputi il tuo volto così bello? Perché ti hanno preso a schiaffi? Ti hanno messo perfino una corona di spine: perché trattare così il mio Re?

Papà mi ha detto che ti hanno inchiodato a una croce; che ci hai perdonato; che tua mamma era presente; che, prima di morire, anche tu hai chiamato tuo Padre; che il tuo viso era tutto una ferita.

Li ho visti, quel venerdì sera, i tuoi discepoli; vergognosi, tornavano dal Calvario impauriti, sconvolti, disperati. “È la fine”, dicevano, “è la fine”. Ma io non potevo rassegnarmi; non potevo dimenticare, io: la mia carne ricordava. Io sapevo, io, che il tuo amore è più forte della morte.

M’hanno detto che sei risuscitato, che ti hanno incontrato: prima alcune donne, poi Pietro, Giovanni e tanti altri. Sono felici! Sembrano rinati! Come li capisco!

Io non ti ho ancora visto; sei salito in cielo: forse non ti vedrò più; ma non importa: le mie notti e i miei giorni sono fatti di te. Eppure, quanta voglia di ascoltarti, di abbracciarti, di vederti.

È curioso: a volte mi sorprendo a pensare a te, a parlare con te, tanto è grande il desiderio che ho di te; allora chiudo gli occhi per ritrovare il tuo volto; è così grande il desiderio che… vorrei morire… per essere sempre con te, mio Gesù.

(Miriam Soter)