AVVENTO, TEMPO DI SPERANZA 5

AVVENTO, TEMPO DI SPERANZA 5

SPERANZA È FARE UN REGALO

In molti si avvicinano a Giovanni Battista per cercare di comprendere quale sia la sua vera identità: “Tu, chi sei?”. Nella risposta le sue generalità assomigliano a quelle di chi sta attendendo qualcosa, anzi Qualcuno, che certamente verrà senza averlo meritato grazie ai nostri sforzi e alle nostre abilità. Bisogna avere pazienza e saper attendere.

Una volta si era più propensi all’attesa e questo aiutava ad accettare gli intoppi e i ritardi che normalmente si frapponevano tra i propri desideri e il loro appagamento. Pensiamo al contadino: dopo aver seminato doveva dare tempo al seme di giungere a maturazione. Lo straordinario era la generosità della natura, che ricompensava con molto più di quanto le era stato donato. Un piccolo seme non restituisce solo un altro seme bensì una quantità di raccolto.

Oggi però non si ha più fiducia nel tempo. Si vuole tutto e subito. E a volte lo si ottiene. Tuttavia, paradossalmente, si è sempre più insoddisfatti. Viviamo infatti in una società che ci spinge a conoscere più prodotti di quelli di cui abbiamo necessità e a ottenerli, sminuendone così il valore.

Qualcosa di simile accade anche nelle relazioni dove, al tempo necessario per costruirle, si sostituisce la fugacità dell’attimo, l’immediatezza di una piccola esperienza.

Neppure la politica e la pastorale sono esenti da questo correre del tempo, che favorisce la rinuncia a una progettualità a lunga scadenza. Il rischio è quello di sostenere il principio secondo cui “non c’è più nulla da aspettarsi”.

Mai come oggi risuonano vere le parole del profeta: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”. È talmente fragile questa vita che si proietta verso il futuro da dover dipendere da qualcun altro. Da sola non sopravvivrebbe.

C’è la necessità del sole, dell’acqua, dell’aria… insomma, di un dono. Il dono è qualcosa che arriva dall’esterno, senza pretese. Non è la ricompensa per lo sforzo di chi lo riceve, quello sarebbe un premio; neppure può essere comprato, si tratterebbe di una semplice merce; neanche si può avere quando e come si vuole, diventerebbe un obbligo. Il dono è una novità che irrompe a modificare l’esistente.

Comprendiamo allora la carica di sorpresa che accompagna ogni vero regalo. Ciò che compro o che ho preteso so bene in cosa consiste, ma ciò che mi è donato conserva il sapore del mistero fino al momento in cui qualcun altro non me lo mette tra le mani. Il suo contenuto è impreziosito da quel valore aggiunto che è la sollecitudine, l’affetto, la stima di chi me lo porge. Al di là del suo valore economico rappresenta una scelta e una predilezione.

La speranza ci ricorda che noi siamo destinatari del dono di Dio, che non ci verrà a mancare neppure in questo Natale così carico di problemi, inquietudini, paure e attese: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Natale è la festa dei regali, quest’anno ce lo dovremo ricordare ancora di più, non quelli comprati ma quelli donati.

È dono la vita custodita nel suo nascere e nel suo finire. È dono reciproco la telefonata a un amico, l’augurio al vicino di casa. Diventa dono il riunirsi a mangiare insieme magari aiutandosi a vicenda. Donare è compiere quell’atto sempre più difficile che è il perdono. E, infine, rientra nella logica del dono anche andare a Messa con tutta la famiglia, o almeno ricordarci di dire una preghiera.

don Alessio