OMELIA PER LA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

OMELIA PER LA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

L’apostolo Paolo ci parla di “giorni cattivi”. Evidentemente non si riferisce a questa epidemia che stiamo dolorosamente attraversando. La parola “cattivi” (in greco: ponerai) usata da Paolo indica ogni situazione segnata da qualche pena (che deriva dal greco poneros), cioè indica ogni fatica, disagio, sofferenza, dolore e anche cattiveria, ogni male, insomma, e ogni paura.

Il Vangelo descrive giorni segnati da paura e dal lutto. La paura è quella dei discepoli, perché sanno che volevano lapidare Gesù (cfr Gv 11,8), ed è la paura che il sinedrio prova per Gesù e per i Romani, paura di venire distrutti o comunque di perdere il loro potere. Il lutto è quello di Marta e Maria, per il vuoto che il loro fratello ha lasciato, per l’incertezza del futuro, per il pianto che provoca; anche i Giudei amici partecipano al lutto. Anche Gesù condivide quella pena.

La storia dell’umanità e la vita di una persona è piena di giorni così. Potremmo dire, con Gesù, che “a ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,34). È anche fin troppo scontato costatare che questi tempi, questo ultimo anno e certamente per almeno ancora qualche mese, stiamo vivendo giorni particolarmente penosi, per la paura dei contagi, per le restrizioni che ne derivano, per la povertà che si diffonde, per i lutti che tanti di noi si sono trovati ad affrontare.

Oggi il Vangelo ci dice che Gesù condivide le nostre pene, le fatiche, i lutti: è con noi in ogni situazione e piange. Ma lui non si ferma qui…

Nel libro del Deuteronomio, nella pagina proclamata poco fa, Mosè invita il popolo di Israele, ormai alle porte della terra promessa, a ricordare che sono usciti dall’Egitto e a insegnarlo ai loro figli perché è molto importante. Il verbo “uscire” è fondamentale per capire la fede ebraica (e quindi anche la nostra). “Uscire” indica una liberazione da forme di schiavitù, di cattiveria di pesantezza, il superamento di un senso di oppressione di disperazione o rassegnazione. Può indicare anche la nascita, “l’uscire alla luce”.

Uscire è solo un inizio, non basta. Il popolo di Israele esce dalla schiavitù d’Egitto, ma affronta il cammino nel deserto per poi entrare nella terra promessa.

Anche per noi l’uscire da questa o da ogni altra situazione penosa comporta ancora molta incertezza, ci sono ancora tante scelte da fare, da vivere, ci saranno ancora tanti errori, incontreremo tanta incomprensione, sperimenteremo tanti fallimenti. Soprattutto per noi l’uscire comporta il renderci conto che ci sono tantissime altre situazioni cattive, penose, dolorose, situazioni che chiedono di fare qualcosa, sollecitano il nostro aiuto, anche se non sappiamo che cosa fare…

Insomma, uscire comporta anche un darsi da fare, impegnarsi, fare passi concreti.

La libertà di chi esce non ha senso se non abbiamo una meta da cercare, individuare, raggiungere, non ha senso se non apre alla condivisione, alla solidarietà, alla carità.

Forse per questo stesso motivo Paolo invita a “molta attenzione al nostro modo di vivere, comportandoci non da stolti, ma da saggi, facendo buon uso del tempo” (Ef 5,15-16a), a non perderci in vizi.

Anche il Vangelo ci parla di una liberazione, quella di Lazzaro. La descrive precisamente come un “uscire”, un venire “fuori”, nel vuoto, dove si aprono tutte le possibilità. Prima e dopo il grido di Gesù, c’è una liberazione che tutti gli altri devono compiere: prima togliendo la pietra del sepolcro e, dopo, sciogliendo Lazzaro dalle bende e dal sudario sul viso. Ora Lazzaro ha ancora davanti a sé tante possibilità, ma si aprono giorni per lui impegnativi. Gesù crea queste possibilità. Il Vangelo e la fede ci fanno uscire da ogni situazione di oppressione, dolore, sofferenza. Ma ci chiedono anche di fare la nostra parte, di metterci in cammino.

Nel brano di Vangelo più volte si invoca la presenza di Gesù. Lo mandano a chiamare, le sorelle lo rimproverano di non essere stato lì, con loro, quando Lazzaro era ammalato, alcuni Giudei lo criticano di non essere intervenuto.

Gesù non nega la sua presenza, lui stesso desidera essere presente, soprattutto quando stiamo attraversando “giorni cattivi”. Ma Gesù è presente a modo suo. Non è a nostra disposizione, non asseconda i nostri calcoli. È presente per invitarci a camminare con lui, su strade di carità, solidarietà. Ci propone piuttosto lo stile ricordato da Paolo nell’Epistola di oggi: “ricolmi dello Spirito (santo), intrattenendoci fra noi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il nostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre” (Ef 5, 18c-20a).

Gesù ha scelto di essere sempre presente nel segno del pane spezzato e del vino versato, nell’immersione con l’acqua, nell’unzione con olio, nel Perdono accolto… insomma Gesù ha scelto di essere presente attraverso i Sacramenti, in quei gesti che la Chiesa celebra e che rendono presente Gesù, con tutto il suo amore, tutta la sua forza.

La presenza di Gesù, l’incontro che Lui vive con noi grazie ai Sacramenti, ci permette di uscire dai giorni cattivi, ci libera dalle nostre magagne, da tutte le forme di pesantezza e oppressione; trasforma ogni situazione, per quanto cattiva, in occasione d’amore. Ci fa uscire non per risolvere tutto, ma per rimetterci in cammino. Ci fa ripartire.

Questo – mi sembra – è anche il valore dell’indulgenza che ci viene offerta in questa domenica. È la possibilità di far ripartire la nostra vita da Lui, da Gesù. Dalla pienezza della sua misericordia che si sprigiona nei Sacramenti.

don Maurizio

PREGHIERA
PER LA QUINTA DOMENICA
DI QUARESIMA

Ho capito che ci sei, Signore Gesù.
Faccio un po’ fatica a riconoscerti,
ma so che ci sei.
Se mi metto in ascolto,
se lascio vibrare il mio cuore,
se permetto alla Chiesa di guidarmi,
se entro nel ritmo della liturgia
e se vivo i Sacramenti,
mi accorgo che tu ci sei.

Ci sei e condividi ogni mia pena
ci sei e sperimenti le mie stanchezze,
ci sei ed entri nei miei vuoti
provando anche i miei lutti.
Ci sei e mi aiuti a mettere ordine
nella mia vita disordinata,
accasciata, frantumata, impigrita…
Ci sei, Signore Gesù, non mi lasci solo.

Ci sei e mi chiami a uscire,
mi fai vedere le pene e le fatiche di tanti,
mi stimoli a condividere, ad aiutare,
a tentare di fare qualcosa per chiunque soffre.
Mi metti in cammino,
mi insegni a muovere passi di carità,
dai un senso e un valore alla mia vita.

Lo so, Signore, che ci sei.
Lo so perché,
se tu non fossi stato qui,
io sarei già morto da tempo.

Grazie, Signore perché ci sei.